L [V 19, G 83]
A Scipione Gonzaga
[1] La signora […] mi promise di mandarmi la lettera inanzi la sua partita e si mostrò più che mai accesa: questa promessa mi fu fatta la mattina, e ’l dopo desinare se n’andò a Gualtiero né più è ritornata, né lettera è comparsa. Questo è quanto posso dire a Vostra Signoria di lei; ma in ogni modo vuo’ che le scriva: e parlo così, perché son risoluto che ’l faccia.
[2] Il cavalier Salviati, gentiluomo de’ più letterati di Fiorenza, ch’ora fa stampare un suo Commento sovra la Poetica, a questi giorni passati mi scrisse una lettera molto cortese; nella quale, mostrando d’aver veduti alcuni miei canti, mi lodava assai sovra i meriti miei. [3] Abbiamo per lettere non solo cominciata, ma stabilita in guisa l’amicizia, ch’io ho conferito seco alcune mie opinioni e mandatoli la favola del mio poema, largamente distesa con gli episodii. [4] L’ha lodata assai; e concorre nella mia opinione ch’in questa lingua sia necessaria maggior copia d’ornamenti che nella latina e nella greca; e mi scrive ch’egli non scemerebbe punto dell’ornamento. Né solo me lo scrive, ma mi manda separatamente una scrittura, nella quale con molte ragioni si sforza di provare questa sua intenzione. [5] Io nondimeno son risoluto di moderarlo in alcune parti; e tanto più mi confermo in questa deliberazione, quanto che per lo più l’eccesso dell’ornamento è nelle materie lascive, le quali per altre cagioni ancora bisogna moderare.
[6] Ma tornando al Salviati, egli non solo m’ha fatti tutti questi favori, ma s’è offerto ancora di fare nel suo Commento onorevolissima menzione del mio poema: se ’l farà, l’avrò caro. Nel disegno e nella verisimilitudine pare a lui che nulla si possa aggiungere o migliorare: così son varie l’opinioni!
[7] Ma che fa il turco? È possibile che messer Giorgio sia sì crudele, che non me ne voglia mai dare un picciolo aviso? Che si tratta nella dieta? Noi qui assediati dalla peste non abbiàn più lettere di Venezia, né sappiam nulla.
[8] Di misser Luca non parlo; ch’egli, ch’è su’ colli o che vi va almeno ogni giorno, non si ricorda de i miseri che giacciono ne’ pantani: pazienza! Io sono a Vostra Signoria, al solito, servitore; e la prego che si ricordi di me e che m’ami al solito.