XXV [V 22, G 46]

A Scipione Gonzaga

[1] Ritornando di Capparo, villa del signor duca, ho ritrovato due lettere di Vostra Signoria, alle quali brevemente risponderò; perché son venuto per alcuni miei affari, né mi fermo questa notte dentro.

[2] E prima: in quanto a quel ch’ella dice, che la magia naturale consiste nell’applicare activa passivis , et a quel ch’ella mi chiede, come si possono ridurre a cagioni naturali alcuni effetti maravigliosi, qual è quel del moto della nave, credo che mi basti per risposta l’addurre una dottrina d’Aristotele, della quale egli si valse per difender Omero e gli altri poeti da gli antichi critici.

[3] I poeti (dice egli) rappresentano le cose o come sono et erano, o come son possibili e devono essere, o come paiono o son dette e credute. Queste o simili parole dice Aristotele. [4] Or sotto il terzo membro di questa divisione si riparano e si difendono dalle calunnie tutti i maravigliosi, come è stato notato anco da altri et in particolar dal Castelvetro; sì che mi par soverchio il cercar quant’oltre si stenda la potenza dell’arte maga, o sia naturale o demonica. [5] Basta solo il sapere sin a quanto sia ricevuto dall’opinione de’ popolari (a’ quali scrive il poeta, et al loro modo parla sovente) ch’ella si possa stendere. [6] Poiché dunque gli uomini, che teologi non sono, stimano il poter de’ diavoli maggior che in effetto non è, e maggior l’efficacia dell’arte maga, poterono con buona conscienza i poeti, ch’inanzi a me han scritto, in questo attenersi all’opinione vulgare. Io poi c’ho tanti essempi, di che debbo dubitare? [7] Spoglisi dunque il signor Flaminio e spoglisi Vostra Signoria la persona di teologo e prendetene una popolare; e poi movete il dubbio e lasciate rispondere a me: e se a me fate il dubbio, fatelo anco ad Omero et ad Apollonio; poiché né i teologi gentili attribuivano l’onnipotenza a i magi.

[8] Mi chiede poi Vostra Signoria non so che dell’allegoria. A questo risponderò con maggior agio e risponderò a lungo: per ora le dico solo ch’io crederei che potesse bastare l’essaminare il senso litterale, ché l’allegorico non è sottoposto a censura; [9] né fu mai biasmata in poeta l’allegoria, né può esser biasmata cosa che può esser intesa in molti modi. Pur, io dico, chiarirò un’altra volta la mia intenzione.

[10] Mi piace sommamente d’aver imaginata cosa prima imaginata da Vostra Signoria, poiché questo m’è certo argomento ch’ella sia buona.

[11] Aspetto la mutazione de’ versi e me ne prometto molto utile e sodisfattione. Conosco ne’ protesti la solita modestia di Vostra Signoria, la quale veramente è soverchia meco per molti rispetti; e guardisi Vostra Signoria dal biasmo che diede Aristotele a Socrate, che ricusò il nome di maestro.

[12] Ho inteso che si è stampata una Poetica d’Alessandro Piccolomini e che si vende in Roma. Qui non è anco arrivata né a Venezia. Prego Vostra Signoria che me ne trovi una e la mi mandi per lo cavalier Gualengo, o per altra occasione.

[13] Al fine di questo mese avrà i tre ultimi canti. E con questo le bacio le mani.